Il procuratore Chinè loda la Procura di Torino contro la Juventus, ma così facendo non si dimostra all’altezza del suo ruolo.
“Allora è molto semplice la Juventus ha avuto un’indagine della Procura di Torino, per bravura di quei magistrati, per fortuna di quei magistrati, non lo so, comunque la Procura della Repubblica di Torino ha fatto un’indagine con intercettazioni telefoniche, sequestri e perquisizioni, è riuscita ad acquisire dei documenti che nessun’altra Procura è riuscita ad acquisire sulle altre società coinvolte in questo scambio di calciatori.” Queste sono le parole del procuratore sportivo della FIGC, Giuseppe Chinè, riguardo la discussa indagine sul caso plusvalenze che ha visto alla fine la Juventus come l’unica colpevole. Al di là del fatto che per compiere illecito relativo a plusvalenze (un reato mai davvero inserito nel codice di giustizia sportiva per la difficoltà di quantificare il reale valore di un calciatore) bisogna essere in due, perché non si può far plusvalenza senza una controparte, queste parole di Chinè gettano ancora più perplessità su una questione alquanto nebulosa. Se da un lato il procuratore della FIGC elogia i magistrati di Torino e la loro inchiesta nei confronti della Juventus (che in seguito è stata ritenuta non competente dalla Corte di Cassazione), dall’altro compie un clamoroso autogol, in quanto definisce se stesso e i vari mezzi di indagine in suo possesso, per controllare il corretto comportamento delle altre società sportive, poco efficienti. Non a caso giuristi, avvocati e persino ex magistrati che avevano preceduto lo stesso Chinè nel ruolo di procuratori sportivi, avevano mosso dubbi sulle accuse e sulla sentenza di condanna nei confronti della squadra bianconera. Non a caso nei mesi scorsi erano emerse accuse, anche piuttosto gravi, ai danni di altre squadre di Serie A, come il Napoli per il caso Osimhen e come l’Inter per la sua drammatica situazione finanziaria, che avevano indignato i tifosi juventini che pretendevano, giustamente, lo stesso trattamento subito dalla Vecchia Signora. Chinè su questo è stato tanto chiaro, quanto poco credibile, rimettendo ogni responsabilità alle varie procure territoriali, come quella di Napoli o di Milano che a suo dire non avrebbero prodotto materiale per indagare su le squadre di quelle città. Come detto queste giustificazioni non rendono onore al procuratore della FIGC e del suo metodo di lavoro, che dovrebbe essere, dato il suo ruolo, il più chiaro e trasparente possibile. Chinè si vanta di parlare poco ma probabilmente dovrebbe preoccuparsi più di far bene il proprio lavoro di magistrato, visto che il suo operato ancora oggi è pieno di ombre.