Non nascondiamoci: il percorso verso la “retta via” è ancora lungo e tortuoso. E la Juventus, in quanto club italiano (di conseguenza anche culturalmente) fa comunque fatica ad uscire dalla mentalità distruttiva che ha messo nei guai la scuola calcistica nazionale ma anche la competitività dei suoi club di vertice, non più possenti economicamente come in passato ma in ogni caso ben disponibili a sperperare denaro in stranieri le cui qualità sono spesso scadenti, ogni tanto ottime (ma sempre sopravvalutate) rarissimamente da campione che non impiega neanche mezzo secondo ad accettare offerte danarose all’estero non appena si capisce esser tale.
“Gli italiani costano troppo” oltre ad essere una leggenda vera solo in parte (e più traducibile con “per gli italiani i denari non li vogliamo spendere perché li riteniamo scarsi”) è anche superabile nella più diretta delle modalità: costruirsi i campioni in casa, all’olandese, per intenderci. Nel momento storico che viviamo, in cui la competitività delle squadre italiane e della stessa Juventus è scesa moltissimo dal punto di vista del “potere d’acqusto”, non esiste una strada più proficua di questa. La Juventus Next Gen risponde esattamente a questa necessità, e bisogna ammettere che a Torino ci siano arrivati prima di altri, con un progetto che ormai esiste da 5 anni ma – com’è logico che sia – solo adesso comincia a dare dei frutti.
Squadra di C under 23. Tradotto: fino ai 23 anni ci rimangono solo i meno validi, perché i più forti li portiamo in prima squadra. E, aspetto che conta più di ogni altra cosa: li facciamo giocare titolari. Li usiamo. Li verifichiamo. Vediamo dove possano arrivare prima di buttarli nel cassonetto. Solo l’Atalanta ha una squadra parallela dello stesso tipo della Next Gen bianconera, ma non serve uno scienziato per capire il peso culturale e le possibilità infinitamente minori del club bergamasco. La Juve, dunque, costruisce un modello unico, indubbiamente di contrasto imponente alla cultura calcistica auto-distruttiva italiana. Sviluppando una sua antica tendenza: quella di essere, sul fronte nazionale, decisamente meno auto-distruttiva di altri. Tra tante discussioni una certezza storica è incontestabile: la storia del dominio della Juve e degli altri club italiani sulla scena internazionale è fatta di soldi che non abbiamo più (verissimo) ma anche di rose composte per il 70 o 80% da calciatori italiani. Alzi la mano chi vuole portare un dato numerico contrario, siamo curiosi di ascoltarlo.