Il Decreto Crescita appena abolito per la stagione in corso aiuterà le società italiane – ivi inclusa la Juventus – a puntare di più sui giovani italiani? Difficile dare una risposta.
Se guardiamo ai numeri, precedentemente al 2017 l’invasione di stranieri più o meno mediocri (salvo alcune eccezioni che è giusto ricordare: in casa bianconera una di queste è rappresentata da Paul Pogba) a vestire casacche da titolari anche nei club di vertice, lo scorso decennio, non è stata inferiore al parto del discutibilissimo decreto, il quale senza dubbio ha rappresentato negli ultimi anni un’ulteriore scusa per cercare improbabili nuovi Zidane ugandesi, ma che nei fatti non ha inciso su un’esterofilia già dominante nel pubblico, nei dirigenti, negli allenatori e in generale in chiunque lavori nel contesto professionistico italiano.
Addirittura, prima del 2017, era ancora più difficile trovare dei titolari italiani nelle squadre di vertice rispetto ad adesso, dove, in fondo, formazioni come Inter, la stessa Juventus, la Roma o il Napoli riescono quanto meno ad oscillare tra un minimo di tre a un massimo di cinque o addirittura sei. Ne discende l’ovvia considerazione che non sia il decreto a provocare la scarsa attenzione per il prodotto nazionale, ma un rifiuto culturale per il prodotto nazionale stesso. Nonostante risultati e numeri non confermino affatto questa tendenza e gli stranieri arrivati in Serie A siano nel 90% dei casi giocatori normali o addirittura mediocri.
Perché è fin dai tempi dell’immemorabile Christian Poulsen, che l’esaltazione di allogeni mediocri (spesso naufragata successivamente come se non ci fosse mai stata) è un’abitudine consolidata.
Semmai, l’abolizione del decreto crescita potrebbe dare una mano alle “squadre bis” come la Juventus Next Gen o l’Atalanta under 23, a coltivare un minimo i giocatori italiani di prospettiva. Ma il problema principale resta culturale: non facciamo crescere i calciatori italiani perché facciamo una fatica tremenda a riconoscere qualità – spesso tecniche, ma anche di quantità, di tatticità, di salute fisica, insomma, scegliete i parametri che volete – evidenti già dalle nazionali giovanili. Il primo tocco straniero è spesso fonte di meraviglia, quello italiano semplicemente non si vede nemmeno.
Non esiste un’altra ragione oggettiva. Poi è chiaro che il talento non significhi essere campioni. Una banalità che il tifo italiano non comprende. A meno che non si parli di calciatori con i passaporti giusti, ovviamente.