Tanti auguri ad Alessandro Del Piero, capitano eterno. Ma questo pezzo non vuole tanto concentrarsi sulle lodi ad Alex (di cui fotograferemo momenti magici in questa giornata), quanto sull’inutile nostalgismo del passato e alla depressione del presente.
Tra le tante, assurde motivazioni che giustificano la situazione attuale, una in particolare mi ha lasciato più perplesso di altre: “I Del Piero e i Totti non vanno cercati”. Una frase che non vuol dire nulla, proprio dal punto di vista scientifico. Al massimo è un’affermazione romantica di stampo retorico, ma di concreto non ha nulla. Del Piero lo cercarono eccome, non è piovuto semplicemente dal cielo. Giampiero Boniperti lo prelevò dal Padova e Alex si mise in luce con una tripletta al Parma nel 1993/1994, da riserva di Baggio. Ora una tripletta, da sola, non fa per forza un fenomeno. Da quella partita in avanti, non ci furono altre prove: si passò direttamente alla stagione successiva, in cui il giovane sostituì l’anziano infortunato avendo la possibilità di dimostrare le sue capacità. Il mondo sportivo e giornalistico italiano ci crebbe immediatamente, al punto da definire Del Piero “il nuovo Baggio”.
Affermazione che non poteva avere alcuna validità in quel momento, visto che – come è logico – sarebbe dovuta essere confermata dalla pratica, la quale per fortuna ci fu eccome, consegnandoci un grande campione. C’erano giocatori meno seguiti di Del Piero che non avevano nulla da invidiare, come Domenico Morfeo (ruolo leggermente diverso, più trequartista che seconda punta come Alex), che non riuscirono allo stesso modo, ma sui quali ugualmente si credette e si puntò. Questo per dire che il talento si cerca e si promuove eccome, dopo di che solo il campo può decretare la riuscita o meno dell’operazione. Quella di Del Piero fu un grande successo, anche se non ci trovammo di fronte a un nuovo Baggio, ma a un giocatore abbastanza diverso – caratterialmente superiore, tecnicamente un gradino sotto – che ha fatto la storia del nostro club. Anzi, che è stato sinonimo di Juventus.
Esistono oggi giocatori che tecnicamente hanno quelle qualità? Sì. Il che non significa che diventeranno campioni. Ma basta fare un giro nelle under, guardare talenti come Tommaso Baldanzi, oppure attaccanti come Pio Esposito. Nelle giovanili del Milan c’è un certo Francesco Camarda che sta battendo tutti i record e no, non può essere un’opinione il suo livello tecnico sopra la media. Diventeranno campioni? Chi lo sa. Se non ci si crede come si è creduto in Alex, questo è sicuro, certamente finiranno nel dimenticatoio. Simone Pafundi dimostra ogni volta che scende in campo ciò che sa fare. Perché nell’Udinese non gioca almeno qualche partita? Provandoci puoi ottenere due risultati ed è una banalità sottolinearlo: il nuovo Morfeo (e sarebbe un fallimento) o il nuovo Del Piero. Ma il talento non decide da solo di diventare titolare di una squadra di vertice, non è una sorta di divinità onnipotente: ci sono allenatori e dirigenti che devono sponsorizzarlo e lanciarlo. Trent’anni fa c’erano, oggi no. A meno che non si tratti del nuovo sedicente talento turkmeno pescato non si sa bene come in capo al mondo e portato in Serie A come se fosse il nuovo Messi, sia chiaro. Non reggono neanche le presunte motivazioni riguardanti i settori giovanili degli altri Paesi che traboccherebbero di campioni in erba: non è così ed è anche impossibile che sia così. Solo una minoranza ristretta esplode davvero. Semplicemente, negli altri Paesi pescano a decine dalle giovanili e provano a farne esordire il più possibile. La legge dei grandi numeri fa il resto.