Parlano i numeri dei due attaccanti. Si deve partire necessariamente da questo. E Federico Chiesa non è estraneo né ai suoi né a quelli del compare di reparto Dusan Vlahovic. L’anno scorso appena 10 reti in Serie A, e le condanne si sono moltiplicate: cediamolo, 90 milioni buttati, è scarso, non è nessuno, e via discorrendo. Stessi discorsi per Chiesa, ovviamente, con aggravanti peggiori visti i giudizi lapidari dopo un infortunio tanto serio.
Ma Federico Chiesa, oltre ad essere reduce da un infortunio serissimo che altri calciatori bianconeri del passato hanno impiegato addirittura anni a superare (citare Alessandro Del Piero non è casuale), era ancora impiegato per dei motivi che ancora oggi fatichiamo a capire lontanissimo dalla porta, con scorribande sulla fascia che riusciva anche a gestire decentemente (vista la velocità e la propensione a saltare l’uomo) ma che inevitabilmente influivano su una vena realizzativa che probabilmente c’è sempre stata ma di cui non conosciamo la reale entità.
Il tutto difficilmente non s’incastra con la crisi di Vlahovic negli ultimi anni. Il serbo, semplicemente, riceveva pochi palloni. Elemento quest’anno assente? Perché? Le ragioni sono ovviamente complesse, ma il fatto di aver spostato l’asticella geografica di Chiesa sicuramente è uno di questi. L’attaccante italiano è un collante in più verso la punta slava, gli permette di far produrre più giocate in verticale e di conseguenza di favorire più palloni giocabili. Se i due sono già a 4 reti a testa c’è un motivo. E una interdipendenza tattica molto maggiore di quanto avremmo immaginato non è da escludere in nessun modo.
Il che spiega, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, perché recuperare Chiesa per la grande sfida con il Milan non solo sia importante, ma addirittura fondamentale. Auguriamoci di averlo in campo e soprattutto in buone condizioni fisiche.